Abbiamo definito i beni pubblici come quei beni nei
quali non è possibile impedirne l’accesso agli altri membri dello stesso
gruppo. Questa semplice
definizione si concentra su due punti che sono importanti nel presente
contesto. Il primo punto consiste nel fatto che la maggior parte dei beni
collettivi possono essere definiti solo rispetto a un gruppo specifico. Un
bene collettivo va a un gruppo di persone, un altro bene collettivo a un altro
gruppo; uno può avvantaggiare il mondo intero, un altro due sole persone.
Alcuni beni, inoltre, sono allo stesso tempo dei beni collettivi per quanti
fanno parte di un dato gruppo, e beni privati per quanti fanno parte di un
altro gruppo, poiché è possibile impedire a certi individui, ma non ad altri,
di farne uso. Si prenda ad esempio una partita di calcio, la quale costituisce
un bene collettivo per tutti coloro che vivono in alti edifici che si affacciano
sul campo, ma per tutti coloro i quali possono vederla solo acquistando
biglietti per un posto nello stadio
la considerano come un bene
privato. Il secondo punto è che, una volta che il gruppo rilevante sia stato
definito, la definizione che viene qui usata distingue, come quella di
Musgrave, i beni collettivi in base all’impossibilità di escluderne i
potenziali consumatori. Si fa uso di
tale approccio poiché sembra che i beni collettivi prodotti da tutti i tipi di
organizzazioni siano tali da rendere di solito impossibile l’esclusione. Nel
caso di certi beni collettivi, certamente è materialmente possibile praticare
l’esclusione. Come Head ha tuttavia dimostrato, non è necessario che
l’esclusione sia tecnicamente impossibile; occorre solo che essa sia
impraticabile o diseconomica. Head ha inoltre dimostrato nel più chiaro dei
modi che secondo l’approccio tradizionale l’impossibilità dell’esclusione è
solo una delle due caratteristiche fondamentali dei beni pubblici. L’altra,
egli sottolinea, è “la collegialità dell’offerta”. Un bene è “collegiale”
quando il metterlo a disposizione di un individuo implica che esso possa
facilmente o gratuitamente essere fornito anche ad altri. Il caso estremo di
collegialità sarebbe il bene pubblico puro di Samuelson, che è un bene tale che
il consumo addizionale da parte di un individuo non diminuisce l’ammontare a
disposizione degli altri[1].
Secondo la definizione che viene qui usata, la collegialità non è un attributo
necessario di un bene pubblico, poichè alcuni
tipi di beni collettivi non presentano alcuna collegialità, e pochi
sono collegiali in misura tale da caratterizzarsi come beni pubblici puri.
Tuttavia, la maggior parte dei beni collettivi che consideriamo mostra un grado
elevato di collegialità.
In altre parole, le caratteristiche dei beni pubblici
sono: il loro consumo è non competitivo o non rivale (cioè il godimento
da parte di un individuo in più non comporta alcun costo aggiuntivo); non
appropriabili o non esclusivi (risulta molto costoso precludere ad altri
individui la possibilità di goderne)[2].
L’esempio classico di bene pubblico è la difesa nazionale: una volta che
una nazione sia protetta dal rischio di un’invasione straniera, non vi sono
costi ulteriori a estendere il beneficio di questa protezione a tutti i
neonati, mentre sarebbe difficile e costoso precluderne il godimento a
qualcuno.
Le bellezze paesaggistiche sono un altro esempio di bene pubblico. Ogni individuo può bearsi dello spettacolo del panorama e il suo piacere non preclude a nessun’altro la possibilità di fare altrettanto; anzi, per mettere in atto un’eventuale esclusione, bisognerebbe sostenere dei costi. Altro es. classico è quello di un faro che illumina un tratto di mare per evitare pericoli derivanti dalla presenza di scogli: non vi sono costi aggiuntivi se una nave in più si serve delle segnalazioni, e sarebbe tecnicamente difficile spegnere il faro proprio al passaggio della nave.
I beni pubblici puri sono quelli per i quali i
costi marginali[3] di
fornirlo a una persona in più sono rigorosamente nulli ed è impossibile
escludere qualcuno dal suo godimento. Molti beni pubblici che lo stato
fornisce non sono beni pubblici puri in questo senso. E’ possibile, ma
relativamente costoso, escludere da (o far pagare per) l’uso di una strada di
grande comunicazione; il costo marginale sarebbe molto piccolo, ma non nullo.
La figura 1[4]
presenta alcuni esempi di beni pubblici, puri e non. Essa mostra la “facilità
di esclusione ” sull’asse orizzontale e il “costo (marginale) di un individuo
in più che usa il bene” lungo l’asse verticale. L’angolo in basso a sinistra
rappresenta un bene pubblico puro.
Costo · strade
congestionate · Beni privati puri
Marginale
dell’uso
·Beni pubblici puri: ·
protezione antincendio
difesa nazionale
facilità di esclusione
Figura 1- beni forniti dallo stato.
I beni pubblici puri sono
caratterizzati da consumo non competitivo (il costo marginale di un individuo
aggiuntivo che goda del bene è zero) e non esclusivo (il costo di
escludere un individuo dal godere il bene è proibitivamente alto). I beni
forniti dal settore pubblico differiscono nel grado in cui presentano queste
due proprietà.
Delle maggiori spese pubbliche solo la difesa
nazionale si avvicina a un bene pubblico puro. Strade di grande comunicazione
non congestionate, finché esistono, ne sono anch’esse un esempio. L’angolo in
alto a destra rappresenta un bene privato puro (servizi sanitari o istruzione),
dove il costo di esclusione è basso e il costo marginale di un individuo in
più che usi il bene è elevato.
Vi sono quindi molti beni che non sono
beni pubblici puri, ma che hanno un qualche grado dell’una o dell’altra proprietà.
Alcuni sono escludibili ma non rivali. Per esempio, durante i periodi di scarso traffico, l’attraversamento di un ponte è non rivale in quanto un automobile aggiuntiva sul ponte non riduce la velocità delle altre autovetture. Tuttavia l’attraversamento di un ponte è escludibile in quanto i responsabili della gestione del ponte possono limitarne l’uso. I segnali televisivi sono un esempio analogo: una volta che i segnali sono stati trasmessi, il costo marginale di rendere disponibile la trasmissione a un consumatore aggiuntivo è zero e il bene è non rivale. Tuttavia, i segnali televisivi possono essere resi escludibili mediante una loro codificazione e l’imposizione di un pagamento per ottenere il codice che decodifichi i segnali stessi.
Alcuni beni non sono escludibili ma sono rivali. L’aria pulita rappresenta un esempio di tale tipo di beni nel caso in cui le emissioni nocive di una fabbrica influiscano negativamente sulla qualità dell’aria e sulla capacità degli individui di goderne. Un oceano o un grande lago sono beni non escludibili, ma la pesca che vi si pratica è rivale in quanto impone dei costi sugli altri soggetti: più pesce viene pescato, meno ne resta disponibile per gli altri.
La lista dei
beni pubblici è molto più corta di quella dei beni offerti dallo Stato. Molti
beni che vengono forniti pubblicamente sono rivali o escludibili o entrambi.
Per esempio, l’istruzione secondaria è rivale rispetto al consumo; infatti il
costo marginale per istruire un ulteriore ragazzo è positivo, in quanto gli altri
ragazzi ricevono meno attenzione al crescere della dimensione della
classe. Parimenti, la fissazione di una
retta scolastica può privare alcuni ragazzi dell’istruzione. L’educazione
pubblica viene fornita dall’amministrazione locale perché comporta esternalità
positive e non perché si tratti di un bene pubblico.
Infine si
consideri la gestione di un parco nazionale. Una parte del pubblico può essere
esclusa dall’usufruire del parco innalzando le tariffe d’ingresso e di
campeggio; l’uso del parco è anche rivale, in quanto in condizioni di
affollamento, l’ingresso nel parco di un’automobile aggiuntiva può ridurre i
benefici che gli altri traggono da esso.
La protezione contro gli incendi è un
bene dal quale l’esclusione è relativamente semplice: gli individui che si
rifiutassero di contribuire al mantenimento dei vigili del fuoco potrebbero
semplicemente non essere soccorsi in caso di incendio. Ma la protezione contro
l’incendio è assimilabile a un bene pubblico in quanto il costo marginale di
coprire una persona in più è basso poiché, i vigili del fuoco impiegano la maggior
parte del tempo nell’attesa delle chiamate e non a spegnere incendi, per cui
la protezione di un individuo in più ha pochi costi aggiuntivi[5].
Sui mercati privati vi è una offerta insufficiente di
beni pubblici. Se, per tornare all’esempio del faro, vi fosse un solo grande
armatore interessato al suo uso, egli valuterebbe i costi e i benefici della
sua costruzione e deciderebbe di conseguenza. Ma se oltre a lui anche altri
armatori più piccoli avessero bisogno del faro, la situazione diventerebbe più
complessa. Il grande armatore continuerebbe a tenere in conto solo i suoi
propri benefici e finanzierebbe la costruzione solo se questi superassero i
costi. I piccoli armatori invece non avrebbero convenienza, singolarmente presi,
ad affrontare le spese dell’opera; questa diventerebbe desiderabile solo se i
benefici complessivi che essi ne riceverebbero superassero i costi.
Gli
stati hanno un importante vantaggio rispetto ai privati cittadini in
merito al problema dei beni pubblici. Essi hanno il potere di obbligare i
cittadini a pagarli. E’ vero che vi potrebbe essere un qualche livello
di produzione di beni pubblici — fari, parchi stradali, persino servizi di
polizia e di protezione civile e antincendio — anche in assenza di intervento
pubblico, ma la società ne guadagnerebbe se il livello di produzione aumentasse
e i cittadini fossero obbligati a pagare l’aumentato livello di servizi
pubblici attraverso le imposte.
§1.2 - Fornitura di un bene pubblico
Supponiamo che due persone che vivono nello stesso
appartamento, A e B, decidano se acquistare o no un bene che, per il suo
utilizzo (es. un potente stereo collocato nel centro della casa) lo configura
come un bene pubblico invece che privato, e
si vuole determinare quando è vantaggioso per i due individui l’acquisto
del bene.
Indichiamo con wA e wB
la ricchezza iniziale dei due individui, con gA e gB i
rispettivi contributi per l’acquisto del bene e con xA e xB la
parte rimanente della loro ricchezza, che può essere spesa per altri consumi. I
vincoli di bilancio sono quindi
xA+gA=wA
xB + gB =wB
Supponiamo che il bene costi C dollari così che,
per acquistarlo, la somma dei due contributi deve essere almeno pari a C, cioè:
gA + gB ³C
Questa equazione ci dice che i due individui possono
acquistare il bene se pagano C.
A questo punto entrano in gioco i diversi valori
attribuiti al servizio fornito dal bene. Questi valori possono essere
determinati chiedendo a ciascuno quanto sarebbe disposto a pagare per usare il
bene, a questo scopo si utilizza il concetto di prezzo di riserva[6].
Condizione necessaria affinché l’acquisto
del bene costituisca un miglioramento paretiano[7]
il contributo di ciascun individuo all’acquisto del televisore deve essere
inferiore alla sua disponibilità a pagare per acquistarlo, cioè:
rA>gA
rB>gB
Se un consumatore può comprare un bene ad un prezzo inferiore al prezzo massimo che egli è disposto a pagare, tale acquisto è, per lui, vantaggioso. Di conseguenza, la condizione secondo la quale il prezzo di riserva è superiore al contributo al costo indica semplicemente che si ha un miglioramento paretiano quando ciascun individuo può acquistare i servizi del bene ad un prezzo inferiore al prezzo massimo che egli è disposto a pagare.
Di conseguenza, se la disponibilità a pagare di
ciascun individuo supera il suo contributo al costo, la somma delle
disponibilità a pagare è superiore al costo del bene, cioè:
rA+rB > gA+gB = C
Questa è una condizione sufficiente perché
l’acquisto del bene rappresenti un miglioramento paretiano. Se tale condizione
è soddisfatta, esiste qualche schema di pagamento tale che l’acquisto del bene
pubblico aumenti la soddisfazione di entrambi gli individui[8].
Abbiamo considerato fino ad adesso, l’acquisto o no di
un bene discreto (scelta del tipo “acquistare/non acquistare”), ma lo stesso
genere di problemi si presenta nel caso in cui si scelga la quantità di
bene pubblico che deve essere fornita.
La condizione di ottimo per questo problema è che la somma
dei valori assoluti dei saggi marginali di sostituzione tra il bene privato
e quello pubblico per i due consumatori sia uguale al costo marginale del bene
pubblico, cioè:
MRSA + MRSB = MC(G)
Infatti, il saggio marginale di sostituzione misura la
disponibilità marginale a pagare un’unità addizionale di bene pubblico.
In questo caso, la condizione di efficienza indica semplicemente che la somma
della disponibilità marginale a pagare deve essere uguale al costo
marginale di un’unità addizionale del bene pubblico.
Nel caso di un bene disponibile in quantità discrete
(caso Acquisto/non acquisto) abbiamo visto che la condizione di efficienza
richiedeva che la somma delle disponibilità a pagare fosse almeno uguale al
costo. Nel caso in esame, dove il bene pubblico può essere fornito a livelli
diversi, la condizione di efficienza richiede che la somma delle disponibilità marginali
a pagare sia uguale al costo marginale in corrispondenza della
quantità ottima del bene pubblico. Infatti, se la somma della disponibilità
marginale ad acquistare il bene pubblico fosse maggiore del costo marginale,
sarebbe conveniente fornire una maggiore quantità del bene pubblico.
Confrontando la condizione di efficienza relativa ad un
bene pubblico con quella ottenuta per un bene privato, possiamo notare che nel
caso di un bene privato, il saggio marginale di sostituzione (o disponibilità
marginale a pagare) di ciascun individuo deve essere uguale al costo marginale
e ciascun individuo può consumare una quantità diversa, ma, al margine, tutti
devono attribuirgli lo stesso valore
(altrimenti vi sarebbe la possibilità di ulteriori scambi); nel caso di
un bene pubblico, invece, è la somma dei saggi marginali di sostituzione
che deve essere uguale al costo marginale poichè ciascun individuo consuma la
stessa quantità, e ciascuno può
attribuire, al margine, un valore diverso.
La condizione di efficienza relativa ad un bene pubblico
è rappresentata nella figura 2[9].
L’allocazione efficiente del bene pubblico si avrà nel punto in cui la somma
dei saggi marginali di sostituzione è uguale al costo marginale.
MRS MC
MRS2
MRS1
G* G
Abbiamo visto che, se la somma delle disponibilità marginali a pagare supera il costo dell’acquisto del bene pubblico, l’allocazione del bene è efficiente, ma ciò non significa necessariamente che gli individui decideranno di acquistare il bene poiché tale scelta dipende dal modo in cui essi si mettono d’accordo nel prendere le decisioni comuni.
Infatti, è possibile che le due persone cooperino e dichiarino il valore che attribuiscono al bene, accordandosi per decidere
se acquistarlo o meno; ma in certe circostanze è possibile che essi non
siano incentivati a dichiarare il vero, cioè entrambi gli individui rifiutano
di contribuire, nella speranza che l’altro si decida ad acquistare da solo il
bene.
Volendo fare un esempio numerico[10] del problema dell’acquisto del bene discreto che abbiamo visto in precedenza, si suppone che ciascun individuo disponga di una ricchezza di $500, che ciascuno valuti il bene $100, e che il costo dello stesso sia $150[11]. Inoltre, si suppone che una delle due persone non possa impedire all’altra di ascoltare la musica, e che ciascuno dei due voglia decidere indipendentemente se comprare o no lo stereo. La matrice payoff di questo gioco è rappresentata nella Tabella seguente:
Acquistare Non acquistare
Giocatore
A Acquistare
Non acquistare ;
Se consideriamo la decisione di uno dei due individui, es. il giocatore A, notiamo che se acquista il bene, ottiene un beneficio pari a $100 e paga il costo di $150, con un beneficio netto uguale a -50. D’altra parte, se il giocatore A acquista il bene, il giocatore B può usarlo gratis, ottenendo un beneficio pari a $100. Questo gioco presenta una soluzione di equilibrio con strategia dominante, in cui nessuno dei due giocatori acquista il bene. Se A decide di acquistarlo, B ha tutto l’interesse a fare il free rider, cioè ad ascoltare la musica senza aver contribuito in alcun modo all’acquisto dello stereo. Se invece A decide di non acquistarlo, B ha ovviamente interesse a non acquistarlo a sua volta[12].
Anche se uno dei due individui acquista il bene ed
entrambi i giocatori lo usano, si può avere un miglioramento paretiano
semplicemente facendo in modo che il giocatore che non contribuisce versi una
somma all’altro giocatore[13].
Questa soluzione è relativamente semplice, ma possono
sorgere problemi più complicati di free riding nel caso della ripartizione di
altri beni pubblici e con più di due individui, poiché vi sono più persone nei
cui confronti ciascuno può comportarsi da free rider. Lasciare che siano gli
altri a contribuire o a fare tutto un lavoro è una scelta ottima dal punto di
vista individuale, ma non è Pareto-efficiente dal punto di vista
sociale.
L’esempio precedente sottolinea un
aspetto importante dell’argomento in questione, e cioè l’interazione strategica
tra i due giocatori.
Se, infatti, volessimo considerare le
decisioni di quanto contribuire all’acquisto di un bene pubblico (considerando
una dotazione iniziale w per ciascuno, che rappresenti anche il consumo del
bene privato), vediamo che l’individuo A deve prevedere quale sarà il
contributo dell’individuo B (supponiamo che l’individuo B offra un qualche
contributo positivo, gB), e inoltre che l’individuo B formuli una
congettura circa il contributo dell’individuo A. Si avrà un equilibrio quando
ciascuno dei due offre un contributo ottimale, data la scelta dell’altro[14]
.
Se entrambi gli individui acquistano entrambi i beni, la condizione di ottimo è la consueta : il saggio marginale di sostituzione tra bene pubblico e bene privato deve essere uguale a 1 per ciascun consumatore, cioè:
MRSA= 1
MRSB = 1
Se l’individuo B acquista il bene pubblico, e ne acquista una quantità tale che il saggio marginale di sostituzione sia uguale ad 1, tuttavia, egli può pensare che il contributo versato dall’individuo A sia sufficiente e che, quindi, un suo contributo non sia necessario, e di conseguenza, decidere di non contribuire affatto.
Ciò è rappresentato nella Fig. 3[15].
Se sull’asse orizzontale è indicato il
consumo di ciascun individuo, su quello verticale il suo consumo pubblico; la
“dotazione” di ciascun individuo corrisponde alla sua ricchezza, Wi,
ed al contributo al bene pubblico dell’altro individuo, poiché tale
contributo rappresenta la quantità disponibile del bene pubblico nel caso in
cui egli decida di non contribuire. Nella Figura 3 A, per esempio, il
contributo all’acquisto del bene pubblico è versato solo dall’individuo A, e
quindi gA = G. In questo caso, la dotazione dell’individuo B
consiste nella sua ricchezza, wB, e nella quantità del bene
pubblico, G — poiché l’individuo B consuma il bene pubblico anche se non
vi contribuisce. Dato che l’individuo B non può ridurre la quantità del bene
pubblico, ma solo aumentarla, il suo vincolo di bilancio è rappresentato dalla
linea più marcata della Figura 3 B. Data la forma della curva di indifferenza
dell’individuo B, dal suo punto di vista comportarsi da free rider e consumare
interamente la propria dotazione rappresenta la scelta ottimale, come si vede
nella figura.
Questo è quindi un esempio di free riding: dato che un bene pubblico è consumato da tutti in uguale quantità, il fatto che un individuo contribuisca al bene pubblico tenderà a ridurre i contributi degli altri. Così, la quantità del bene pubblico fornita in corrispondenza di un equilibrio volontario sarà, in generale, di molto inferiore rispetto a quella efficiente.
Nell’analisi microeconomica precedentemente svolta, è tuttavia necessario, tenere accuratamente distinto il comportamento di un individuo quando si trova a far parte di un piccolo gruppo e il comportamento dello stesso individuo in un gruppo ampio. Nei due casi l’atteggiamento razionale dell’individuo sarà notevolmente diverso non ostante la presenza dello stesso tipo di interdipendenze reciproche. Nell’ambito di un piccolo gruppo ciascuno scambista potenziale è spinto a comportarsi strategicamente e a contrattare nel tentativo di assicurarsi termini di scambio nettamente più favorevoli. Contemporaneamente egli cercherà di promuovere il consenso generale in modo da assicurarsi i vantaggi derivanti dai riconosciuti guadagni reciproci; lo scambista tende cioè, tramite il suo comportamento, a modificare quello degli altri scambisti del gruppo. Egli tenterà di prevedere il più esattamente possibile la reazione degli altri alla sua azione e quindi sceglierà la combinazione di azione e di prevista reazione che massimizza l’utilità attesa. Egli si trova cioè chiaramente nella posizione di un giocatore e potrà deliberatamente adottare un comportamento strategico “antisociale” pur riconoscendo che un comportamento di mutua cooperazione può assicurare dei vantaggi reciproci. L’individuo troverà vantaggioso nascondere le sue “ vere preferenze” e mostrare invece falsi indizi circa queste ultime alle parti avversarie.
Un individuo che fa parte di un vasto
gruppo caratterizzato dalla generale interdipendenza tra tutti i suoi membri
non si aspetta di influenzare con il suo comportamento quello degli altri
individui. Non si comporterà quindi in maniera strategica, non contratterà,
non “giocherà” . Al contrario
egli adeguerà il suo comportamento a quello degli altri intesi come un tutto
senza ritenere che il loro comportamento possa cambiare. L’individuo accetta il
complesso delle azioni altrui come parametro delle proprie decisioni, come
parte, per così dire, della natura che lo circonda che egli non considera
affatto soggetta a variazioni direttamente o indirettamente dovute al suo
comportamento.
In un modello a molti individui il singolo
considera così limitata l’influenza della sua azione in relazione alla totalità
di azioni poste in essere dal gruppo entro cui egli opera, da non ritenere
possibile alcun effetto rilevante sui risultati complessivi.
L’individuo ritiene giustamente che sia meglio ignorare le reazioni degli altri
(intesi singolarmente o come sottogruppo) a un suo possibile comportamento
“antisociale”.
Da quanto detto, quindi, risulta che le motivazioni
psicologiche sono diverse nelle due situazioni. In un piccolo gruppo
l’individuo riconosce ai rapporti di interdipendenza un carattere specifico e
personale, è direttamente conscio delle rivalità esistenti e (in situazioni in
cui vi siano più di due individui) sarà spinto a partecipare a delle
coalizioni. L’individuo sarà conscio della maggiore produttività derivante da
una azione congiunta con uno o più individui e di fronte a ogni altro individuo del gruppo egli proverà insieme un
senso di competizione e di cooperazione. In una situazione in cui siano
presenti molti individui tutto ciò scompare. L’individuo riconoscerà
l’interdipendenza reciproca tra tutti i membri del gruppo ad un livello in un
certo senso logico e analitico. Egli non riterrà produttivo, come invece avverrebbe
in un piccolo gruppo, formare coalizioni con altri, non si considererà in stato
di competizione o di cooperazione con gli altri, le relazioni di
interdipendenza non verranno personalizzate; non vi sarà motivo di contrattare
per ottenere termini di scambio più favorevoli in quanto, per ciascun
individuo, tali termini sono fissati dall’esterno. L’eliminazione delle
possibilità di contrattazione ha tuttavia il suo rovescio in quanto non si
tenderà neppure a promuovere gli “scambi”. In un piccolo gruppo
l’individuo è spinto sia a iniziare lo scambio sia a contrattare sulle
condizioni di esso.
In un vasto gruppo in cui l’interdipendenza è generale e
non può essere ridotta a delle relazioni interindividuali il comportamento che
porta allo scambio e alla contrattazione tende ad essere eliminato. In un ampio
gruppo gli individui ritengono razionale agire in maniera indipendente a
dispetto del fatto che il risultato complessivo delle azioni individuali
indipendenti sia non ottimale per ciascuna e per tutte le persone del gruppo e
che ciò sia esplicitamente riconosciuto.
Un aspetto importante di questa
interdipendenza è, quindi, quello che riguarda di come l’individuo consideri le
probabilità di influenzare, con il suo comportamento, l’atteggiamento degli
altri. Consideriamo in primo luogo una
comunità di mille persone in cui sia a tutti largamente noto che un bene
pubblico costituito da una attrezzatura fissa comporterebbe, se costruito, un
beneficio di dieci dollari pro-capite cioè di diecimila dollari complessivi e
che sia altresì noto che il costo dell’attrezzatura è di cinquemila dollari.
Ogni individuo si trova di fronte alla seguente
alternativa di scelte: (a) partecipare al costo congiunto dell’impresa, (b) non
parteciparvi.
Se egli prevede che gli altri membri del gruppo
contribuiranno in misura sufficiente a finanziare il servizio gli converrà,
ovviamente, non contribuire, se prevede che gli altri non contribuiranno gli
converrà ugualmente non contribuire dato che i benefici sono indivisibili. Dato
il grande numero di membri del gruppo l’individuo non ritiene di poter
influenzare con il suo comportamento quello degli altri. Che egli contribuisca
o no le sue induzioni relative al comportamento del gruppo non mutano. In tale
situazione, indipendentemente da come egli ritiene che si comporteranno gli
altri, la scelta razionale dell’individuo dovrà essere quella di comportarsi da
free rider. E poiché tutti gli altri individui tenderanno ad agire nello
stesso modo il servizio non potrà essere costruito con i contributi volontari
dei beneficiari futuri.
La semplice matrice della figura 4 può servire ad illustrare tale situazione. Nell’esempio vengono attribuiti alle varie alternative che si pongono all’individuo valori diversi. I termini tra parentesi indicano la probabilità di avverarsi attribuita a ciascun possibile modello di comportamento degli “altri” ed è importante notare che tali probabilità non cambiano da una riga all’altra. In tale caso ogni insieme di coefficienti di probabilità darebbe gli stessi risultati.
Il più alto valore atteso si troverà sempre nella
riga intitolata “l’individuo non
contribuisce”.
Figura 4
|
Contribuiscono |
contribuiscono |
|
L’individuo contribuisce |
$ 5 (· 5) $ 10 (· 5 ) |
- $ 5 (· 5) 0 (· 5) |
0 $ 5 |
Questa situazione, molto
plausibile in un a ampio gruppo, sarà invece molto diversa nell’ambito di un
piccolo gruppo. Date le stesse condizioni generali supponiamo ora che la
comunità sia composta di 10 persone, ciascuna delle quali si trova di fronte
alla prospettiva di un beneficio del valore di mille $ e di un costo di
cinquecento. Come nell’altro caso tale persona può contribuire o rifiutarsi;
tuttavia, poiché in un piccolo gruppo le interrelazioni reciproche sono
presenti all’individuo, egli sa che, con il suo comportamento, può esercitare
una certa influenza sul comportamento degli altri membri del gruppo. Se egli
non contribuisce può crescere il numero oli probabilità che anche gli altri non
contribuiscano e già questa possibilità può bastare, per un individuo razionale,
a determinare la sua partecipazione. Tale situazione nello ambito di un piccolo
gruppo è descritta nella figura 5. Si noti che le probabilità attribuite
variano da riga a riga e che l’individuo prevede che il suo comportamento
influirà su quello degli altri; è questa la ragione per cui, come appare
dall’esempio, il valore atteso è maggiore quando l’individuo dà il suo
contributo. L’avverarsi o meno di questo risultato dipenderà, ovviamente,
dalle probabilità attribuite dall’individuo alle diverse alternative. L’individuo
può infatti ritenere che il suo contributo possa far diminuire invece di
aumentare la probabilità che gli altri a loro volta contribuiscano. In
questo caso lo spostamento delle probabilità tra le due righe avverrebbe in
senso contrario a quello indicato nella figura 5. Ciò è dimostrato nella figura
6, da cui appare come il valore atteso per l’individuo sia più alto nel caso
che egli non contribuisca volontariamente al costo del bene pubblico. In
questo caso l’individuo agisce come un vero e proprio free rider e prevede che gli altri compensino il suo
comportamento antisociale. Che poi le altre condizioni siano quelle della
figura 5 o quelle della figura 6 dipenderà in parte dal potere di
sanzione che il gruppo esercita nei confronti dell’individuo. Infatti, nei
piccoli gruppi, esisteranno molto verosimilmente dei rapporti
interpersonali e quindi la possibilità di escludere coloro che non si
adegueranno al comportamento del gruppo. Ciò indica come più probabile il
verificarsi della situazione descritta nella figura 5 rispetto a quella
descritta nella figura 6.
Figura 5
|
Contribuiscono |
Contribuiscono |
|
L’individuo contribuisce |
$ 500 (· 8) $1000 (· 2) |
- $ 500 (· 2) 0 (· 8) |
$ 300 $ 200 |
Figura 6
|
Contribuiscono |
Contribuiscono |
|
L’individuo contribuisce L’individuo non contribuisce |
$ 500 (· 6) $1000 (· 9) |
- $500 (· 4) 0 (· 1) |
$ 100 $ 900 |
L’impostazione probabilistica chiarisce le differenze nel comportamento individuale nell’ambito di un vasto e di un piccolo gruppo. Non esiste, ovviamente, un sistema per determinare a priori quale ampiezza deve avere il gruppo per poter causare un mutamento nel comportamento individuale, il quale varierà da individuo a individuo anche nell’ambito di uno stesso gruppo. Il limite critico e imposto da come l’individuo sente le relazioni personali con le controparti. Le differenze di costumi, di tradizioni, di livello etico possono spostare i confini tra comportamento di piccolo gruppo e comportamento di vasto gruppo. Questo elemento è stato ovviamente riconosciuto dagli economisti così come è stato riconosciuto che il numero di imprese necessarie ad assicurare la libera concorrenza varia largamente in relazione al variare di molte altre variabili rilevanti.
Nel capitolo precedente abbiamo visto che (teoria
classica del free-riding) dal momento che un bene pubblico, una volta
prodotto, è disponibile per il consumo di tutti i membri della collettività,
indipendentemente che essi abbiano contribuito o meno al suo finanziamento, è
interesse di ciascuno scaricare sul resto della comunità l’onere della
produzione del bene pubblico sottostimando la propria disponibilità
marginale a pagare (willingness to pay).
Più tecnicamente, ogni incremento del contributo della
collettività genera sulla willingness to pay individuale due
classi di effetti: quelli di sostituzione, che tenderanno a ridurre il
contributo individuale in una proporzione esattamente uguale a quella di cui è
aumentato il contributo della comunità; e quelli di reddito, che tenderanno ad
aumentare il contributo individuale a seguito del fatto che l’incremento della
quota di bene pubblico prodotta dal resto della comunità aumenta la ricchezza
in natura di ogni singolo individuo. Tuttavia, poiché tale maggiore ricchezza
si distribuisce sia sui beni privati che su quelli pubblici (almeno in ipotesi
di beni normali), l’incremento del contributo della comunità produrrà un
risultato finale negativo sulla disponibilità marginale a pagare del
singolo individuo che tenderà quindi a free-rider sul resto dei
cittadini.
A questo punto, appare opportuno, considerare un lavoro[16],
che cerca di risolvere alcune incompatibilità tra teoria del free-rider con
l’osservazione empirica, come ad es. il British Museum[17].
Nel caso in esame, infatti, i contributi dei visitatori, più che a
donazioni alla comunità in senso lato, sembrano corrispondere a veri e propri
prezzi sostenuti per l’utilizzo del bene pubblico. In sostanza, cioè, è proprio
la nozione disponibilità marginale a pagare che emerge da tali comportamenti ad
essere in stridente contrasto con l’ipotesi di un vasto e
generalizzato free-riding.
Ovviamente, ciò
che rende rilevante l’esempio precedente è che una simile incompatibilità tra
teoria del free-rider col osservazione empirica è estendibile a
numerosi altri beni pubblici (cfr. Johansen, 1977 e Sugden, 1982).
In effetti, dato questo paradosso tra teoria del free-riding
ed osservazione empirica, diversi ricercatori hanno elaborato negli ultimi
anni modelli dei beni pubblici che si prefiggono di essere più consistenti
della teoria classica con l’esperienza reale.
Il lavoro che stiamo considerando fornisce una
soluzione del paradosso del free-rider, introducendo nel modello di
Samuelson il cosiddetto effetto di reference.
Il termine
effetto di reference è stato coniato negli anni recenti
dalla letteratura empirica per indicare un’evidenza che contraddice in modo
sistematico una fondamentale assunzione della teoria classica dell’utilità:
quella che le preferenze degli individui possano essere definite
indipendentemente da termini di riferimento o, reference contingenti.
Tali reference, che tecnicamente corrispondono alle dotazioni iniziali
dei beni — o initial endowment — tendono tuttavia ad essere influenzati
da altri fattori quali “le loro aspirazioni, aspettative, il comportamento
di altri agenti e le norme sociali che regolano la vita della comunità”[18].
L’intuizione
fondamentale di alcuni autori[19]
è che il nostro apparato percettivo si è abituato alla valutazione di
variazioni piuttosto che alla valutazione di grandezze assolute. Quando
reagiamo ad attributi quali la luminosità, il rumore, la temperatura, le
esperienze passate e presenti definiscono il livello di adattamento, o reference
point, e gli stimoli sono percepiti in relazione a questo reference.
Applicando questa idea all’analisi del comportamento economico degli individui, questi autori propongono una teoria in cui le preferenze rispetto ai beni di consumo sono definite in riferimento alle variazioni, piuttosto che ai loro livelli finali, e soddisfano due ipotesi comportamentali fondamentali:
a) avversioni
alle perdite: una perdita, ovvero una variazione del bene che produce
un allontanamento dall’initial o reference endowment, produce una
variazione di benessere maggiore, in valore assoluto, di quella generata da un
guadagno di uguale dimensione;
b) sensività
decrescente: il valore marginale sia dei guadagni[20]
che delle perdite diminuisce con l’aumento della loro distanza dalla dotazione
iniziale (initial endowment).
Tuttavia, nella
teoria del reference applicata al problema del free-rider, si utilizza solamente l’ipotesi di
sensitività decrescente.
Per comprendere più facilmente l’ipotesi di sensitività decrescente si può fare un esempio.
Si pensi ad un collezionista di francobolli che
decide di destinare una certa somma di denaro W all’acquisto di un’importante
serie costituita da N emissioni diverse. Tutte le emissioni hanno lo stesso
valore da collezione W/N, che coincide anche con la disponibilità marginale a
pagare (willingness to pay) del nostro collezionista. Si
supponga ora che, dopo alcune ricerche, egli riesca ad acquistare 2/3 della
serie, pagando proprio W/N per ogni francobollo. A questo punto sorge
spontaneamente la domanda di a quanto corrisponderebbe, dopo questo acquisto,
la nuova disponibilità marginale a pagare del
collezionista per i francobolli dell’ultimo terzo della serie?
Secondo la teoria classica dell’utilità, dal momento
che prima dell’acquisto ogni francobollo era stato valutato come uguale
proporzione della somma W destinata all’acquisto di tutta la serie, il
fatto che 2/3 della serie siano ora in possesso del collezionista non aggiunge
nessun nuovo elemento che possa alterare i suoi precedenti programmi. In altre
parole, l’acquisto dei 2/3 non può generare né effetti di reddito né effetti di
sostituzione o di complementarietà tali da modificare in senso positivo o
negativo la disponibilità marginale a pagare precedentemente dichiarata per
ogni singolo francobollo e pari a W/N.
Tuttavia, si ritiene che, se si potesse effettivamente
condurre un esperimento di questo tipo, quasi certamente si verificherebbe una
discrepanza tra la disponibilità marginale a pagare dichiarata prima o dopo
l’acquisto dei 2/3 della serie, con la seconda anche notevolmente maggiore
della prima. Evidentemente, il motivo di questa predizione è che, dopo
l’acquisto di parte della serie, sembra verosimile che i francobolli ancora
mancanti assumano agli occhi del collezionista un valore del tutto particolare.
Sentendosi più vicino al suo obiettivo ultimo, ovvero il possesso di tutta la
serie, egli è ora pervaso dall’ansia di concludere il programma di
potenziamento della sua collezione di francobolli e questo lo conduce ad una
revisione nel senso di una maggiorazione della sua disponibilità marginale a
pagare precedentemente dichiarata.
L’aspirazione del collezionista a concludere la sua
serie, oltre a consentire di illustrare
l’intuizione che sta alla base dell’ipotesi di sensitività decrescente, sembra
possa anche avere interessanti analogie con diversi fenomeni di contribuzione
volontaria ai beni pubblici.
In effetti, il fatto che una caratteristica tipica
di molti beni pubblici sia quella di presentarsi come beni da acquisire in
quantità e forme prestabilite, comporta che la contribuzione volontaria per la
loro produzione abbia valore solo se intesa come quota individuale per il
conseguimento di tutto il bene pubblico. Ma in questa prospettiva, l’assunzione
di sensitività decrescente, con la sua implicazione che più un progetto
pubblico è in stato di avanzata realizzazione maggiore è la disponibilità
degli individui della comunità a finanziare il suo completamento sembra possa avere una certa rilevanza. Infatti,
ad esempio, la nostra disponibilità a sovvenzionare gli ultimi 10 km di una
ferrovia che colleghi la nostra città con qualche centro che siamo
abituati a frequentare e distante 50 km da noi, sarebbe diversa a seconda che
tale domanda ci fosse posta quando è del tutto ipotetico che si possa
effettivamente realizzare la costruzione dei primi 40 km o quando i lavori per costruire il
primo tratto sono già praticamente conclusi.
Molto
probabilmente, proprio come nell’esempio del collezionista di francobolli, il
fatto che nel secondo caso la linea ferroviaria sia così vicina alla sua
realizzazione, ci spingerebbe in una predisposizione psicologica nei confronti
della ferrovia del tutto particolare, tale da stimolare positivamente la nostra
disponibilità a contribuire per il suo completamento[21].
Così, il fatto che un bene pubblico sia già
disponibile in una certa quantità può essere un fattore capace di
stimolare positivamente la disponibilità dei cittadini a finanziare
un’espansione del bene stesso. Ad esempio, i nostri contributi per il
potenziamento della biblioteca della nostra città saranno, maggiori quanto più
ricca di volumi la biblioteca è in partenza. In maniera simile, si ritiene, che non vi siano dubbi sul fatto
che la preziosità delle sue collezioni sia un fattore decisivo nello
spiegare l’alta propensione a
contribuire rivelata dai visitatori del British Museum.
Questi esempi mostrano che la validità dell’assunzione di sensitività decrescente non è subordinata al fatto che un “guadagno” corrisponda a una “parte mancante” — anche se tale circostanza può certamente rafforzare le sue implicazioni — ma in maniera più generale, essa richiede che la decisione di investire in un bene si misuri effettivamente in relazione alla sua disponibilità iniziale, ovvero dal fatto che certi endowment rappresentino davvero dei reference per l’individuo.
Se pure i reference corrispondono tecnicamente a initial
endowment o status quo, tuttavia, alla loro formazione concorrono
altri fattori, quali: aspirazioni, aspettative, norme sociali, morali,
politiche o altro.
§ 2.2-Egoista sociale e esternalità psicologiche.
In molte situazioni, sebbene perfettamente consci dei vantaggi “economici” che potremmo godere anteponendo i nostri interessi privati a quelli della società nel suo complesso, ci troviamo tuttavia incapaci di agire in modo completamente egoistico. Di più, tale incapacità è tanto maggiore quando vediamo anche “gli altri agenti” esserne affetti. In altre parole, è come se i contributi degli altri agenti producessero “un’esternalità psicologica” positiva sulla nostra propensione a contribuire.
E quest’ultimo aspetto di questa considerazione
introspettiva ad essere in particolare contrasto con l’ipotesi di razionalità
classica, secondo cui, al contrario, tanto maggiore è quello che “gli altri”
fanno per la società, tanto minore sarà quello che faremo “noi stessi”.
Una simile incompatibilità tra predizioni teoriche
e comportamenti individuali nei confronti dell’interesse comune e, più in
particolare, dei beni pubblici è stata notata da diversi autori[22].
La teoria
dell’utilità dipendente dal reference affinché abbia davvero valore
predittivo/esplicativo, è necessario che un individuo valuti effettivamente i
beni in termini di variazioni dall’initial endowment; e perché questo
avvenga bisogna che i beni in questione siano caratterizzati da un forte
spessore psicologico. Esso può essere generato da particolari aspirazioni
individuali, come risulta evidente nell’esempio del collezionista di
francobolli, il quale, dopo l’acquisto dell’ultima serie, rimira la propria
collezione e considera quali altri francobolli comprare per renderla ancora più
preziosa.
Ma può essere generato anche da aspirazioni
collettive di vario tipo. Si è fatto riferimento all’alto profilo culturale ed
artistico che può rendere ragione dell’effetto di reference nell’ambito,
rispettivamente, delle donazioni ad una biblioteca o ad un museo come il
British Museum. “Ma più generalmente, la teoria del reference dependence è,
secondo noi, particolarmente adatta all’analisi dei beni pubblici proprio
perché lo stesso fatto di essere “pubblici” fa apparire tali beni agli occhi
degli individui sotto una luce del tutto particolare[23]”.
Altri esempi sono rappresentati da fenomeni di
simpatia, solidarietà, tendenza all’imitazione o anche all’invidia.
In ogni caso quello che conta è che tali situazioni
psicologiche inducono gli individui a considerare il contributo degli “altri”
— che tecnicamente costituisce il nostro initial endowement di bene
pubblico ¾ come una sorta
di termine di comparazione o una norma sociale, in altre parole un
reference, rispetto al quale commisurare la nostra personale donazione.
In altri termini, l’applicazione dell’utilità dipendente
dal reference in questo contesto
rappresenta un tentativo per comprendere in un apparato analitico generale
quelle “esternalità psicologiche” tipiche dei beni pubblici, che, se pure
trascurate dal modello classico (Samuelson, 1954, 1955), altri[24],
hanno considerato in modelli particolari.
Nella teoria dell’utilità dipendente dal reference
la correzione[25]
alle predizioni del modello del free-rider
ha una naturale derivazione nella deformazione che la mappa delle
curve d’indifferenza di ogni agente subisce a seguito del contributo del resto
della comunità, contribuzione che nell’interpretazione qui considerata, agisce
come sorta di vincolo psicologico, di origine sociale e morale, nei problemi
di massimizzazione individuale[26].
L’analisi sopra esposta può essere illustrata
facendo uso della tecnica diagrammatica più moderna[27],
la quale consente di identificare più esattamente la tendenza di un individuo a
free-rider con la pendenza della curva di Nash.
La fig. 7 illustra la domanda di bene pubblico G=g+G* di ciascun
individuo nel piano (g,G*), definito dal contributo individuale g e da quello
della comunità G*.
Le curve indicate con I0,I1,I2,… sono le curve d’indifferenza nel caso della
teoria dell’utilità classica. La loro pendenza è data da p/TMS(Y,G)-1[28],
dove TMS(Y,G) è il tasso marginale di sostituzione tra bene privato e bene
pubblico.
Assunzioni standard circa la funzione di utilità,
in particolare la quasi concavità, implicano che la pendenza di tali curve
d’indifferenza sia funzione crescente del contributo individuale g[29].
Da ciò,
chiaramente, il punto in cui p/TMS(Y,G) è uguale a 1 è il punto di minimo delle
curve d’indifferenza, dove il consumatore massimizza la propria utilità dato il
contributo del resto della comunità.
Figura 7
G* N
N*
In I*n I I*
I I* I1 I*2
I0=I*0 N g
DDDDG
La linea NN che congiunge i punti di minimo delle
curve d’indifferenza è detta curva di reazione dell’individuo, poiché riporta
il migliore contributo individuale in risposta ai diversi livelli di bene
pubblico prodotti dal resto della comunità. La sua inclinazione negativa, che
come già osservato dipende dal fatto che sia il bene privato sia quello
pubblico sono beni normali, esprime la tendenza dell’individuo a free-rider
sul resto della comunità.
Tralasciando l’aspetto prettamente matematico, è facile
verificare[30] che
quando p/TMS(Y,G) è uguale a 1, le curve
d’indifferenza derivate in presenza di reference dependence (I*0,I*1,I*2,…),
hanno una pendenza diversa, dovuta all’effetto che una variazione del contributo
della comunità produce sul tasso marginale tra i due beni. Da ciò segue che in
corrispondenza del punto in cui il modello classico predice curve
d’indifferenza al minimo, il modello con reference dependence, viceversa,
implica curve d’indifferenza con pendenza ancora negativa, da cui ovviamente
discende che l’ottimo sarà raggiunto in corrispondenza di un maggiore
contributo individuale e le curve di reazione avranno un’inclinazione minore.
Nella fig. 8 è mostrato il caso di una
comunità formata da soli due individui: l’individuo A che contribuisce al bene
pubblico per gA e l’individuo B che contribuisce per gB.
Ovviamente, il bene pubblico prodotto in questa economia sarà dato dalla somma
gA+ gB.
Le linee NNA e NNB sono le curve
di reazione per i due individui derivate, in conformità alla teoria
dell’utilità classica, secondo la metodologia esposta in riferimento alla fig.7
(ovvero considerando per ciascun individuo il punto di minimo delle curve
d’indifferenza in corrispondenza dei diversi livelli di contribuzione del
resto del la comunità). Il punto E=(geA , geB)
è equilibrio (di Nash) nel senso che, in tale situazione, il contributo di A è
la migliore scelta in risposta alla migliore scelta di B e viceversa.
Come più sopra indicato, in presenza di reference
dependence le curve di reazione si aprono verso l’esterno del diagramma (NNA*
e NNB*), generando un equilibrio E*=(ge*A ,ge*B
) caratterizzato da una maggiore produzione di bene pubblico
rispetto all’analisi classica, essendo infatti ge*A+ge*B> geA ,geB [31].
Figura 8
I beni culturali e ambientali (per la definizione vedi infra pag. 59) e i relativi servizi prodotti (paesaggistici,
culturali, ricreativi, ecc.) sono spesso fruiti dalla collettività in modo
gratuito e generalizzato. Vengono per questo ritenuti beni pubblici in quanto
caratterizzati — per molti aspetti ed entro certi livelli d’uso — dalla
non-esclusione e dalla non-rivalità nel consumo. In realtà, per alcuni beni o
servizi, per la funzione ricreazionale, la non-rivalità nel consumo non si
mantiene inalterata all’aumentare del numero dei consumatori; può infatti
accadere, a causa di limiti della capacità fisica del bene, che insorgano
fenomeni di interferenza fra i consumatori, tali da provocare, talvolta,
effetti di congestione[32].
I beni culturali e ambientali possono, inoltre, generare utilità multiple in
quando producono più servizi. E’ il caso di un palazzo storico che può essere abitato
e, contemporaneamente, contribuire alla bellezza di una piazza; di un bosco che
produce legname e consente attività ricreative.
Può accadere che una parte di detti servizi sia appropriabile e quindi vendibile, realizzando, almeno parzialmente, l’esclusione dal consumo: è il caso della visita a pagamento di parchi e giardini recintati o di interni d’arte. Di conseguenza non è sempre possibile includere tali beni e servizi nella categoria dei beni pubblici puri poiché essi presentano, in qualche misura, l’escludibilità e\o la rivalità nel consumo. Tale escludibilità si verifica sia per limiti fisici del bene (es. fenomeni di congestione), sia per motivi giuridici (es. servizi gestiti in concessione).
La mescolanza tra interessi pubblici e privati è quindi una
connotazione comune a molti beni culturali e ambientali. La loro valorizzazione
può pertanto essere perseguita con modalità differenti e dare luogo a rapporti
diversi tra attività pubblica ed iniziativa privata.
Un ulteriore
approfondimento dei beni culturali e ambientali si ottiene proprio indagando sulla natura “artistica” di
tali beni e sulle sue conseguenze. Essa implica, infatti, una “finalità senza
scopo”[33]
che non rientra né nelle categorie economiche (di massimizzazione di prodotto
o minimizzazione di costo), né in quelle morali (di libertà od uguaglianza).
Il processo decisionale è per questa ragione sottoposto ad un vincolo di trasformazione
(o di trade-off) inusuale tra efficienza, equità ed “artisticità” (o bellezza)
del bene che viene qui esaminato insieme con le sue conseguenze.
Infatti, i beni
culturali e ambientali oltre alle caratteristiche cui in precedenza si è
descritto, hanno anche la caratteristica di essere beni complessi, cioè:
il loro uso implica l’esercizio di più
facoltà intellettuali e sensoriali (si vedono, si ascoltano, si da spazio
all’immaginazione ecc.);
sono soggetti all’influenza della moda
o possono creare moda (andare in un luogo symbol);
spesso diventano un simbolo di stato (si pensi
alla torre di Pisa);
possono provocare effetti di “dipendenza”
(si torna frequentemente in un determinato posto, ad es. “per ritrovare se
stessi”);
sono patrimonio di chi consuma oggi ma anche
di chi potrebbe consumarlo in futuro (e nel cui interesse esso deve essere
pertanto preservato).
Tutti questi aspetti, sono originati da un attributo particolare: la natura “artistica” di tali beni.
Questa caratteristica comporta una coincidenza tra realtà e presunzione soggettiva dei consumatori, e proprio questo aspetto lo rende un bene differente da qualsiasi altro.
Questo bene a
“finalità senza scopo”, reale solo in quanto “desiderato” (o immaginato), non deve essere dotato solamente delle due
tradizionali dimensioni (quelle della efficienza economica e della moralità),
come tutti gli altri beni; ma ha uno spazio analitico tridimensionale (fig.
4.1), poiché deve includere la bellezza o “esteticità”[34].
Ciascuna delle dimensioni dell’analisi può essere
utilizzata per misurare un obiettivo decisionale o essere un metro di giudizio
della situazione attuale o prospettica del bene culturale e ambientale (della
minimizzazione dei suoi costi o massimizzazione del suo reddito sociale lordo;
della giustizia, od equità, della sua fruizione; della sua bellezza).
Così come avviene tra equità ed efficienza, si può
supporre che vi sia un trade-off (o scambio) tra efficienza ed “esteticità”. Il
che non significa che ciò che è bello non possa essere efficiente, ma semplicemente
che si assuma che il massimo di “bellezza” non possa coincidere con il massimo
di efficienza e viceversa. Lo stesso si può dire del resto del rapporto tra
equità (od uguaglianza di accesso) e bellezza.
Anche in questo caso, come per lo scambio
equità/efficienza, supponiamo che il vincolo (o frontiera) di trade-off sia
concavo verso l’origine, e cioè che le situazioni intermedie tra la massima
“esteticità” e la massima efficienza (od accessibilità/equità) siano ottenibili
scambiando l’un attributo con l’altro secondo una legge di rendimenti
decrescenti.
All’inizio piccole concessioni in termini di accessibilità
consentono grandi vantaggi in termini di bellezza, ma via via che ci si
avvicina al massimo estetico le concessioni in termini di accessibilità/equità
sono sempre più pesanti (fig. 4.1).
Efficienza (l’utile)
Esteticità Equità
(il bello) ( il giusto)
L’esistenza di
questi trade-off comporta conseguenze decisionali spesso sgradite, infatti, ad
es. può darsi il caso che sia giusto consentire lo sviluppo di una nuova
edilizia popolare per soddisfare i bisogni degli abitanti più poveri nei centri
storici e che sia efficiente che queste abitazioni abbiano tetti in lamiera
anziché in ardesia o in cotto; ma tutto ciò può però essere considerato
“brutto” (s’intende che la valutazione è soggettiva).
L’ottimizzazione
del processo di produzione di scambio è così complicata da elementi qualitativi
ad elevatissima soggettività, che rendono la funzione di decisione collettiva
che li riguarda assai problematica.[35]
Es., di fronte ai mali che affliggono le città d’arte la risposta prevalente
sta nello stanziamento di sussidi al consumo, alla produzione, infatti, il
contenimento dell’offerta (o razionamento del mercato) non viene praticato
perché la soluzione è considerata immorale, lesiva dell’equità e della libertà
dei singoli.
L’arte è un bene di tutti, non si può limitarne l’accesso. Esso, anzi, deve essere agevolato.
In assenza di
limiti di equità distributiva (eguaglianza totale di accesso), l’incentivo a
consumare prodotto dal sussidio (che riduce sostanzialmente il prezzo del
bene), spinge all’estremo la congestione e mette in discussione lo stesso
standard estetico.
Il rapporto tra
politiche di intervento efficienti e politiche “giuste” è del resto altrettanto
conflittuale quanto la relazione tra equità e tutela di un livello artistico
minimo. L’equità insita nella pretesa pubblicità del patrimonio artistico
(l’arte è di tutti e deve essere ugualmente disponibile a tutti) si scontra di
nuovo drammaticamente con i problemi della congestione (l’arte di tutti rischia
di diventare l’arte di nessuno) e con quelli della scarsità dei mezzi
finanziari.
La
conservazione crea fabbisogno che a sua volta crea congestione, e quindi nuove
esigenze di conservazione.
Queste
considerazioni, tuttavia, non portano a concludere che non vi sono soluzioni
che possano allentare questo trade-off, ma a considerare come la dimensione
“estetica” entra in gioco e costringe a constatare che massimi assoluti
estetici ed etici non sono tra loro compatibili. Per ottenere l’uno si deve
rinunciare in qualche misura all’altro.
La natura
“ideologica” dei massimi etici (“l’arte è di tutti”) rende difficile ogni
decisione in materia. Per migliorare la situazione è necessario o modificare
gli strumenti di intervento su cui le politiche si fondano, o gli ambiti in cui
le decisioni relative si formano o il calcolo stesso dei decisori (mutandone la
cultura o l’atteggiamento rispetto ai costi e benefici esterni del patrimonio
artistico).
[1] Sulla definizione e l’importanza dei beni pubblici si vedano JOHN G. HEAD,
Public Goods and Public Policy, in “Public Finance”, vol. XVII, n. 3,
1962, pp. 197-219; R. MUSGRAVE, The Theory of Public Finance, McGraw-Hill,
New York 1959; P.A. SAMUELSON, The Pure Theory of Public Expenditure,
Diagrammatic Exposition of A Theory of Public Expenditure, e Aspects of
Public Expenditure Theories, nella “Review of Economica and Statistics”,
XXXVI, 1954, pp. 387-390, XXXVII, 1955,
pp. 350-356 e XL, 1958, pp.
332-338.
[2] Di conseguenza, risulta difficile se non impossibile praticare un prezzo per l’utilizzo di beni non escludibili, ovvero è possibile usufruire di tali beni senza effettuare un pagamento diretto.
[3] Il costo marginale è la variazione (incremento) del costo totale derivante dalla variazione della quantità.
[4] La figura è tratta dal libro Principi di Microeconomia, 1998, J.E. STIGLITZ.
[5]
Solo nella rara evenienza in cui due o più
incendi scoppino simultaneamente vi sarà un costo significativo nell’estendere
la protezione a una persona in più.
[6]
Il prezzo di riserva dell’individuo A è il
prezzo massimo che questi sarebbe disposto a pagare per avere il televisore:
cioè quel prezzo, rA, in corrispondenza del quale per
l’individuo i è indifferente pagare rA ed avere il bene, oppure non
averlo. Analogamente abbiamo il prezzo di riserva dell’individuo B. Notiamo
che, in generale, il prezzo di riserva di ciascun individuo dipende dalla sua
ricchezza: il prezzo massimo che un individuo è disposto a pagare
dipende, in una certa misura, da quanto egli è in grado di pagare.
[7]
Ricordiamo che un’allocazione è
Pareto-efficiente se non vi è modo di aumentare la soddisfazione di entrambi
gli individui. Un’allocazione è invece Pareto inefficiente se esiste un
modo per aumentare la soddisfazione di entrambi.
[8] Questa condizione ha alcune implicazioni.
In primo luogo, notiamo che la condizione in
base alla quale l’acquisto del bene pubblico può essere definito un
miglioramento paretiano dipende solo dalla disponibilità a pagare di
ciascun individuo e dal costo totale. Se la somma dei prezzi di riserva è
superiore al costo del televisore, esisterà sempre uno schema di
pagamento tale che la soddisfazione di entrambi gli individui sarà maggiore
qualora acquistino il bene pubblico.In secondo luogo, l’acquisto del bene
pubblico sarà Pareto-efficiente o no a seconda della distribuzione iniziale
della ricchezza (wA; wB). Questo perché, in generale, i
prezzi di riserva rA e rB dipendono dalla distribuzione
della ricchezza. Infatti, è possibile che per alcune distribuzioni rA +
rB > C, e per altre rA + rB < C.
In generale, il fatto che un bene pubblico venga reso disponibile o no dipende
dalla distribuzione della ricchezza, anche se, in casi particolari, può non
dipenderne. Per esempio, nel caso di preferenze quasi-lineari i prezzi di
riserva non dipendono dalla quantità di ricchezza e di conseguenza nemmeno la
disponibilità ottimale del bene pubblico dipende da essa, almeno per certi
livelli di ricchezza (è sempre necessario che la disponibilità a pagare sia
inferiore all’effettiva possibilità di farlo).
[9] La fig. è tratta dal testo Microeconomia, di H.R VARIAN p.561, cas. ed. Cafoscarina 1993
[10] L’es. è tratto dal testo Microeconomia, di H.R VARIAN op.cit.
[11] Poiché la somma dei prezzi di riserva eccede il costo, l’acquisto del bene è Pareto-efficiente.
[12]
Questa situazione è simile, ma non uguale,
a quella del dilemma del prigioniero. Nel caso del dilemma del prigioniero la
strategia che massimizza l’utilità complessiva dei giocatori prevede che
entrambi i giocatori compiano la stessa scelta, mentre in questo caso la
strategia che massimizza l’utilità complessiva prevede che uno dei due acquisti
lo stereo (che sarà poi usato da entrambi).
[13] Il versamento di una somma qualsiasi tra $50 e $100 darà luogo in questo
esempio a un miglioramento paretiano.
[14] Questo è l’equilibrio di Nash.
[15] La fig. è tratta dal testo Microeconomia, di H.R VARIAN p. 567, op. cit.
[16] Bernasconi M., Marenzi
A., “L’effetto del “reference” e la
teoria del “free-rider”: l’analisi diagrammatica”.
[17]
Entrando al British Museum di Londra, al
posto delle familiari biglietterie con i prezzi differenziati per categorie di
turisti, un enorme recipiente di cristallo di forma esagonale accoglie i
visitatori. All’interno del cristallo fanno spicco monete e banconote, anche di
grosso taglio, lasciate da turisti di diverse nazionalità. In effetti, anche se
sopra l’esagono un avviso informa i visitatori che, se pure eventuali
elargizioni volontarie saranno utilizzate per le spese di gestione del museo,
nessun prezzo è dovuto, pochi sono i turisti che, entrando nel museo non si
fermano a versare qualcosa.
[18] Cfr. Tversky
e Kahneman, 1991, p. 1047. Il primo a descrivere un reference o endowment effect è
stato, pur senza usare esplicitamente questa terminologia, Markowitz (1952). In anni più recenti, le considerazioni di
Markowitz (1952) sono state riprese, approfondite e verificate empiricamente da
una serie di autori, tra cui Kahneman e Tversky (1979), Thaler (1980) e
Samuelson e Zeckhauser (1988).
[19] Tversky e Kahneman (1991), in particolare, hanno mostrato che l’effetto di reference o endowment è rilevante anche nel caso in cui si considerino preferenze rispetto a beni di consumo piuttosto che alla ricchezza finanziaria.
[20] Nel lavoro che stiamo considerando si è rivolto l’attenzione alle sue implicazioni riguardo ai guadagni.
[21]
A questo proposito, gli autori, fanno
notare che la domanda di sottoscrizioni private per la produzione di diversi
beni pubblici e per il finanziamento di istituzioni di carità è generalmente
espressa in una forma del tipo: “mancano solo tot soldi per realizzare
il tal progetto”, proprio come se si volesse stimolare esplicitamente
l’insorgere di una predisposizione da sensitività decrescente nei potenziali
sottoscrittori. Inoltre, sottolineano che non si debba ritenere che
l’assunzione di sensitività decrescente sia rilevante solo per “guadagni” che
sono in qualche modo “parti mancanti” di un unico bene.
[22]
In effetti, sono ormai disponibili
numerosi modelli che risolvono in una maniera o nell’altra tale inconsistenza.
Tuttavia, un aspetto di tale letteratura che lascia alcuni dubbi è che ogni
risoluzione è capace di caratterizzare solo alcune caratteristiche psicologiche
della contribuzione volontaria ai beni pubblici.
[23] Così espressamente, Bernasconi M., Marenzi A., op.cit.
[24] Sugden (1984), Andreoni (1989, 1990),
Dawes e Thaler, (1988).
[25]
Con “correzione del modello del free-rider”
non si vuole ovviamente affermare che non esiste un problema del free-rider
ma semplicemente sottolineare, come ampiamente discusso in letteratura
(cfr. Johansen, 1977, Sugden, 1988; Dawes e Thaler 1988) che esso è meno drammatico di quanto
enfatizzato dall’analisi classica.
[26] Cfr. Fig. 7 e 8.
[27] Cfr. Cornes e Sandler (1984, 1986).
[28] Cfr. Cornes e Sandler, 1984, nota 3
[29] cfr. Cornes e Sandler, 1986, p. 72
[30] cfr. Beniasconi-Marenzi, 1991.
[31] Questo risultato rimane valido anche nel caso in cui uno solo dei due
individui sia affetto da reference dependence: individuo B con
equilibrio in F*= gf*A
+gf*B > geA ,geB,
nella fig. 8.
[32] A tale proposito di veda: SIGNORELLO G. (1986), La valutazione
economica dei beni ambientali, “Genio Rurale”, 9, pp. 21-35.
[33] Definizione del Kant.
[34] I filosofi dell’arte la chiamerebbero la sua “ermeticità”.
[35]
I1 tema del rapporto tra economia ed
estetica è assimilabile in questo senso metodologicamente a quello della
relazione tra etica ed economia, applicando ad es. il criterio di Pareto.